Indissolubilmente legato ad una propria idea di cinema, Scorsese arriva al suo 23° lungometraggio rimanendo coerente a sé stesso.
Attraverso una sceneggiatura che potrebbe far invidia persino a Raymond Chandler (Il grande sonno),
tratta dal film giapponese “Infernail Affairs”, il film assume tuttavia un’identità narrativa semplice, lineare, scorrevole.

La storia di Sullivan (Matt Damon), infiltrato della mafia nella polizia di Stato, e quella di William Costigan (L. Di Caprio), poliziotto con la missione di intrufolarsi nella banda criminale di Frank Costello (Jack Nicholson), risulta indispensabile a Scorsese per potersi addentrare in quel complesso groviglio di significati che il sottotitolo italiano lascia intravedere.
A differenza degli altri suoi film ambientati nel mondo della malavita
, legati ad una scelta stilistico-narrativa esemplare nel cercare di trasformare la descrizione in una vera e propria chiave di lettura del film, l’ultima pellicola del regista americano ha un punto di forza: una dimensione etica. Nel suo travagliato “vagabondaggio” morale W. Costigan si trova davanti ad un bivio: poliziotto o criminale? La risposta sta in una frase pronunciata da Costello nell’abbagliante e trascinante prologo del film: “Quando hai davanti una pistola carica, qual è la differenza?

Attraverso un’impietosa analisi della (a)moralità umana, Scorsese punta i riflettori sulla poetica dei contrasti e degli scambi, in cui l’unico punto fisso è l’assenza del bene.
Collocandosi all’interno del genere poliziesco, è qualcosa di più: è una sfilata di personaggi travolti dalla virulenza del male. In un universo comandato da Costello, quasi tutti soccombono alla perfida realtà della vita; qualsiasi strada ognuno scelga è sbagliata.
Velato da un atroce e turbante pessimismo, ha una carta vincente: la messa in scena. La sceneggiatura è superbamente organizzata, ma le sue maggiori qualità sono altre: magistrale direzione degli interpreti, atmosfera e una secca e concisa lucidità di sguardo. E’ il raro caso di un film d’autore perfettamente allineato con la migliore tradizione del cinema hollywoodiano. Scorsese è sì un narratore di razza, ma contemporaneamente anche un energico visionario della realtà.
Dramma gangsteristico o tragedia morale? Forse tutti e due.
Tra momenti di lucido realismo alternati a passaggi di forte tensione lirica, si arriva ad un finale pessimistico ma giusto. Anche se la “giustizia non è di questo mondo”, “The departed” ne ha una tutta per sé.
Attraverso una tipica recitazione da Actor’s Studio, L. Di Caprio offre una performance così ricca di sfumature recitative e psicologiche da tenere testa persino all’intramontabile Nicholson. Da notare soprattutto il fascino figurativo della pellicola, dovuto in gran parte a due abituali e fedeli collaboratori di Scorsese: la fotografia di Michael Ballhaus e il montaggio della veterana e pluripremiata Thelma Schoonmaker.
Vi è anche, sottotraccia, uno spirito ribelle che affronta e critica la morale della religione
cattolica, o meglio, della Chiesa. E’, in questo senso, il film più caustico di Scorsese.
Recensione a cura di: Danilo Cristaldi
4 commenti:
Secondo me THE DEPARTED è un capolavoro dell'arte cinamatografica. sia gli attori che il reggista, senza tralasciare montaggio e fotografia, sono strabilianti.
per me 5/5.
scusate gli errori
l'errore! ma a Henry si perdona...
Bellissimo film è una tra i miei preferiti!
LuciaSf
Posta un commento