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lunedì 22 aprile 2013

Il terzo uomo

Il terzo uomo


Holly Martins (Joseph Cotten), uno scrittore di romanzi western, arriva a Vienna e riceve subito una terribile notizia: l’amico Harry Lime, che lo aveva chiamato a trascorrere un po’ di giorni nella città austriaca, è morto in un incidente stradale. Martins sente puzza di bruciato e pensa che Lime sia stato assassinato, così cerca di scoprire il mistero. Tutto porta alla necessità di conoscere l’identità di un “terzo uomo”, un testimone che potrebbe risolvere l’enigma. Chi è costui? Scritto da Graham Green, è un thriller di taglio espressionistico incredibilmente suggestivo e affascinante, coadiuvato splendidamente dal bianconero di Robert Krasker e dall’accompagnamento musicale su cetra di Anton Karas. Carol Reed è il regista, ma potrebbe essere considerato un film di Welles a tutti gli effetti. Vi è, infatti, tutta la sua concezione cinematografica, con un largo uso dei suoi ingredienti preferiti: inquadrature insolite, atmosfera inquietante, attori dalle facce giuste, narrazione in crescente evoluzione. Nell’assistere ad un racconto dai tipici tratti da film giallo, si assiste al classico esempio di un film di genere che ne trascende i limiti per virtù di stile. Oltre all’evidente qualità figurativa, vi è da sottolineare la compattezza dei suoi elementi, tenuti insieme da una rete di componenti stilistiche non prive di una maestria narrativa che è insieme innovazione e saggezza cinematografica. Nell’accoppiare felicemente spensierato romanticismo e cruda visione della realtà umana, Reed tiene d’occhio la psicologia dei personaggi e non trascura uno degli elementi più importanti del genere: la suspense. Il personaggio di Harry Lime è il riassunto della crudeltà del nostro secolo, composta da menzogne e atrocità assurde, all’interno di una cornice (una Vienna caratterizzata da ombre e penombre) apparentemente linda e cristallina fuori, ma putrida e marcia dentro, dove il tarlo del peccato ha già mostrato la sua orrida presenza. Assistito da un cinico umorismo, è un film magistrale sotto tutti i punti di vista, con una memorabile interpretazione di Welles e una battuta che divenne celebre: “Sai che cosa diceva quel tale? In Italia sotto i Borgia, per trent’anni, hanno avuto assassinii, guerre, terrore e massacri, ma hanno prodotto Michelangelo, Leonardo da Vinci e il Rinascimento. In Svizzera hanno avuto amore fraterno, cinquecento anni di pace e democrazia, e che cos’hanno prodotto? Gli orologi a cucù”.


Danilo Cristaldi

sabato 20 aprile 2013

Attore Americano Robert De Niro


Robert De Niro
Robert De Niro Jr. è un attore, regista e produttore cinematografico statunitense. Attore prolifico e versatile, è generalmente considerato tra i maggiori interpreti della sua generazione, soprattutto ... Wikipedia
Data di nascita17 agosto 1943 (età 69), Manhattan
Altezza1,77 m
ConiugeGrace Hightower (s. 1997)Diahnne Abbott (s. 1976–1988)
PremiOscar al miglior attoreGolden Globe alla carrieraAltro


Abbiamo voluto dedicare una particolare scheda filmo-grafica a uno dei monumenti del cinema mondiale Robert de Niro, scegliendo qui di seguito una lista di 10 film o meglio di 10 indimenticabili personaggi nella lunghissima carriera ( oltre 60 film all'attivo e quasi un'altra decina in programmazione) di Bob. Dobbiamo dire che è stato molto difficile fare le scelte. Una vita di successi (incredibilmente solo 2 oscar), uno splendido sodalizio con una dei più ..cineasti della storia, Martin Scorsese e appunto, personaggi portati sullo schermo diventati ormai miti, cinematografici s'intende, per milioni di persone. Oltre che per il grande carisma e talento artistico innato, Bob è da rinomare per l'incredibile dedizione e professionalità legata al suo lavoro, accettando qualsiasi ruolo. anche il più spregevole non avendo mai paura di rischiare







John "Johnny Boy" Civello - Mean Street (1973). Al suo undicesimo film dopo aver lavorato con grandi registi come Brian de Palma e Roger Corman, Bob recita diretto da colui che poi verrà considerato un fratello, Martin Scorsese. Nei panni di un giovane irrequieto e attaccabrighe di Little Italy lascia il segno con una recitazione sorniona e sopra le righe.


Scapestrato





Vito Corleone - Il padrino parte II (1974) Dopo il successo mondiale del Padrino, Francis Ford Coppola decide di affidare le vesti del più famoso Boss della mafia italo-americana al trentenne Robert. Scelta azzeccatissima che non fa temere gli immancabili paragoni con l'altra star Marlon Brando. Una recitazione contenuta ma ugualmente memorabile in perfetto dialetto siciliano premiato con un'Oscar al miglior attore non protagonista.









Travis Bickle - Taxi Driver (1976) ritorna a lavorare con Scorsese in uno dei film più discussi e al tempo stesso acclamati dalla critica e dal pubblico. Il ruolo del tassista reduce del Vietnam al limite della follia, in una lurida New York mette in luce le complesse doti di recitazione di Robert che da un contributo importante al film anche con improvvisazioni (tra cui quella allo specchio) divenute Cult.

Schizofrenico





Michael Vronsky - Il cacciatore (1978) anche con Michael Cimino veste i panni di un americano che vive la guerra nel Vietnam







Jake La Motta - Toro scatenato (1980) A nostro parere la sua migliore interpretazione, di straordinaria intensità, un film fortemente voluto da Bob che dovette convincere Martin farlo. Per questa straordinaria performance, premiata con un Oscar (l'unico da protagonista!!), ci vollero 2 anni di riprese, centinaia di incontri di boxe per apprendere lo stile alla perfezione e il suo peso è oscillato di oltre 30 kg. Se non è dedizione questa! Obbligatoriamente :


Scatenato



Rupert Pupkin - Re per una notte (1983)







David "Noodles" Aaronson - C'era una volta in America ( 1984). La pellicola epica di Sergio Leone, costata ben 10 anni di lavorazione,






Max Cady - Cape fear, il promontorio della paura ( 1991) A quasi cinquant'anni Bob veste i panni del più terribile personaggio da lui interpretato. Nel remake dell'omonimo film del '62, Scorsese delinea i contorni di un vero mostro ma che comunque alla fine riesce a portare con se una macabra simpatia da parte dello spettatore. De niro con quell'aspetto da galeotto non si dimentica facilmente..


'There is nothing in the dark that isn't there in the light. Except fear.'


Un incubo



Sam "Asso" Rothstein - Casinò (1995). Ultimo film (perora) dello splendida collaborazione Scorsese-De Niro. In questo film Bob mette in luce . Luck has nothing to do with the games they play


Calcolatore












mercoledì 15 luglio 2009

Charlie Chaplin: l'arte della commedia



La perfetta fusione tra dramma e commedia è stata, sin dai tempi dell'antichità, una delle qualità più interessanti e tipiche dell'arte in generale; il concetto per cui si associano i due stili (drammatico e comico) viene comunemente riassunto nel termine “tragicomico”. Per “tragicomico” infatti si intende un qualsiasi componimento teatrale, letterario o cinematografico nel quale a vicende gravi e dolorose proprie della tragedia fanno contrasto, oltre che il lieto fine, spunti e procedimenti propri tradizionalmente della commedia.Nei numerosi film diretti e interpretati dal grande artista Charlie Chaplin si racchiudono i concetti, le idee e le sensazioni del “tragicomico”; analizzando infatti attentamente le pellicole di Chaplin si percepisce una struttura divertente e spensierata in superficie ma dolente e amara nel fondo, nel quale si avverte un'acuta e graffiante requisitoria contro le malvagità e le insoddisfazioni quotidiane dell'esistenza. Nello studiare la natura “tragicomica” di Charlie Chaplin si deve senza dubbio evidenziare la situazione paradossale che viene a crearsi tra la finzione e la realtà; nel corso della sua vita, infatti, egli ha dovuto patire non poche dolorose vicende, attenuate però dai suoi grandi successi cinematografici. Il personaggio attorno al quale costruì larga parte delle sue sceneggiature, e che gli dette fama universale, fu quello del "vagabondo" ("The Tramp" in inglese; "Charlot" in italiano, francese e spagnolo): un omino dalle raffinate maniere e la dignità di un gentiluomo, vestito di una stretta giacchetta, pantaloni e scarpe più grandi della sua misura, una bombetta e un bastone da passeggio in bambù; tipici del personaggio erano anche i baffetti e l'andatura ondeggiante. L'emotività sentimentale e il malinconico disincanto di fronte alla spietatezza e alle ingiustizie della società moderna, fecero di Charlot l'emblema dell'alienazione umana - in particolare delle classi sociali più emarginate - nell'era del progresso economico e industriale. Attraverso la visione di alcuni dei suoi celebri film (Tempi moderni; La febbre dell'oro; Il monello ecc....) si scopre la qualità fondamentale del suo pensiero: nell'affrontare temi tipici della società del suo tempo (alienazione, crisi economica, critica alla società), Chaplin ricorre ad una piena compenetrazione tra le forme tipiche della tragedia classica e i meccanismi fondamentali della commedia; risiede proprio in questo contrasto l'energia cinematografica di Chaplin, nell'accoppiare, in maniera esemplare, dolore e gioia, ottimismo e crudo realismo, tragedia e commedia. Queste rilevanti qualità vengono racchiuse in uno stile cinematografico classico, semplice e asciutto, senza formalismi o compiacimenti, tutto improntato sulla chiarezza e nitidezza delle immagini, capace di riunire in sè, in una divertente sfilata di cinema, le due facce dell'umanità: il dramma e la commedia.








Danilo Cristaldi




martedì 30 giugno 2009

Into The Wild


Nel 1990 il 22enne Chris Mcandless lascia il suo paese d'origine (Georgia) e, creandosi una nuova identità, evade dalla famiglia e da tutti i suoi beni materiali per iniziare un viaggio alla ricerca della libertà e della natura, preferendo principalmente una meta: L'Alaska.Tratto dal romanzo di John Krakauer, è, sotto le cadenze di un film on the road, un potente ritratto dell'anima di un uomo. Caratterizzato da un passo lento ma deciso, la sceneggiatura di Penn, come la regia, adotta uno stile classico e originale al tempo stesso, frutto di una serie di esperienze cinematografiche qui abilmente integrate. Nel tracciare la figura di un giovane smanioso di trovare la libertà, Penn costruisce un film antropologico che si presta a diverse chiavi di lettura: politica, filosofica, religiosa, sociologica.
Un'opera sincera, coraggiosa, attuale più che mai. A tratti divertente ed euforico in superficie, ne rivela in seguito il carattere amaro e dolente nel fondo. I paesaggi, bellissimi e splendidamente fotografati da Eric Autier, riflettono l'interiorità del protagonista lungo tutto il suo cammino. Nonostante la lunghezza e qualche impercettibile dose di ruffianeria, funziona, coinvolge, sorprende e commuove. E' un inno alla libertà e alla gioia di vivere, un trattato sulla consapevolezza di essere uominie non dei meccanici prodotti della nostra società. Sullo sfondo di una natura pura, incontaminata dalle scorie nocive dell'umana società, Penn avanza una tesi utopica sulla volontà di riuscire a cambiare la propria posizione, sociale e morale, politica e spirituale. Nel farlo, si sente la mano di un regista energico, che rifiuta qualsiasi inibizione, instaurando la consapevolezza di ricevere un messaggio, più o meno interpretabile, deciso, forte, sincero. Nello scavare a fondo sulle complesse ragioni che portano Chris a svegliarsi da un opprimente incubo ad occhi aperti, la sceneggiatura procede lentamente, lasciando ampio spazio ad aneddoti crepuscolari e malinconici, creando un'atmosfera di rara suggestione. Non vi sono compiacimenti in questa solitaria e impassibile odissea dello spirito, ma solo un'autentica gioia di narrare e mostrare, eliminando costantemente il dubbio di qualsiasi indecisione stilistica. Nell'affrontare alcuni temi (rapporto con la famiglia, voglia di evadere, critica alla società) può risultare a tratti forzata e un pò troppo programmatica la sua struttura, ma sono difetti che si dissolvono facilmente nella grazia di un tocco magico, diretto e inimitabile. Attraverso una calcolata naturalezza, una sensibilità ipereccitata e uno sguardolucido, lo spettatore si immedesima facilmente nel protagonista, provando piacere nel partecipare attivamente al suo vagabondaggio reale, morale ed esistenziale. Penn partecipa con il suo carattere onnivoro, utilizzando tutte le cifre stilistiche a sua disposizione: primi piani, ralenty, split-screen, carrellate aeree; un'ammirevole tecnica di brio audiovisivo che, sorprendentemente, stimola lo spettatore in più di un'occasione, con la memorabile scena in cui un orso fiuta il protagonista, lo guarda e lo lascia libero; qui la natura, più che cattiva, è impassibile al suo destino.


Danilo Cristaldi




giovedì 26 marzo 2009

Shine a Light



L’unica rock band al mondo capace di confutare il tempo, restando immune alle modificazioni che quest’ultimo può causare, dà vita a quello che è forse il più bel documentario su un concerto della storia del cinema. Probabilmente saranno cambiati i volti, ma non la musica in questo storico gruppo dalla matrice blues, che usa il palcoscenico in tutte le sue forme, considerando lo spettacolo una componente predominante di un concerto. E’, proprio per questo, considerata una delle rock band più coinvolgenti dal vivo; rende palpitante, attraverso la sua energia, la voglia di fare musica e spettacolo, facendo quasi dimenticare che coloro che si muovono sul palco hanno la veneranda età di oltre 60 anni; il filtro della memoria non li scalfisce, anzi, li “illumina” in tutti i sensi, come il titolo suggerisce. L’energia, qualità che certo non manca ai Rolling Stones, non è solo presente nella musica, ma anche nella genialità visiva di M. Scorsese, regista energico per eccellenza. Con il considerevole apporto di 17 telecamere, infatti, le vorticose immagini fuoriescono da una staticità che molte volte è il limite di un concerto filmato, e la visione appare unica nella sua espressiva dinamicità. Oltre alle riprese, altri pilastri fondamentali sono le luci e i colori di R. Richardson, con un montaggio tipico scorse siano di D. Tedeschi. Chi ha avuto la fortuna di assistere (da vicino) ad un concerto dei Rolling Stones potrà facilmente ammettere che è la cosa che gli si avvicina di più, considerando che lo schermo e la realtà sono due cose ben diverse.



Recensione a cura di Danilo Cristaldi




sabato 14 febbraio 2009

Sangue blu di Robert Hamer

1868, in un carcere inglese un Lord, aspetta la sua esecuzione

Trama: 1868, in un carcere inglese un Lord, Louis D'Ascoyne Mazzini, aspetta la sua esecuzione per un delitto non commesso scrivendo della sua vita, del suo amore e di come, molto abilmente, è riuscito a sbarazzarsi di ben 8 consaguinei eredi al titolo di Duca di Chalfont. Sul filo del rasoio arriva la prova che lo scagiona, esce, si trova ad un bivio ma al momento di scegliere arriva un'amara consapevolezza.Sceneggiato da John Dighton ispirandosi a un romanzo di Roy Horniman, Sangue blu è una notevolissima pellicola della commedia nera uscita negli anni del dopoguerra. Alimentato da una forte vena satirica, di critica verso l’inumana e arrogante borghesia inglese (non tutta comunque) e da un cinico atteggiamento verso la vita, il film procede spedito grazie anche alla narrazione del protagonista che in maniera sintetica ma esauriente ci guida all’interno della sua prospettiva. Nonostante vanti oltre mezzo secolo di vita, come un vino buono non sembra sentire il peso degli anni, anzi. Il giovane D'Ascoyne con la sua faccia di bronzo, inesorabile nella sua vendetta ma circondato da un’alone di malsana simpatia, è egregiamente rappresentato dal poco noto attore Dennis Price.A parte la subdola, mischina e materialista donnina Sibella di cui è invagito il protagonista e qualche attore secondario (come il buffo rettore carcerario) il cast è dominato dal camaleontico Alec Guinness. Sono infatti ben 8 i personaggi, da eliminare, interpretati dall’attore inglese che riesce nonostante il trucco non eccessivo a fuorviare gli spettatori non attenti; l’unico segnale a tal proposito viene da una alquanto brutta Lady Agatha. Guinness otterrà solo il titolo di miglior attore dalla National Board of Review Awards 1950. La regia di Robert Hamer, con cui in seguito Guinness collaborerà ad altri film, d'impronta classica e teatrale è comunque zelante e sorretta da un’ottima fotografia affidata al grande Douglas Slocombe; tiene perfettamente i tempi di una commedia in stile Old British ed è forse il miglior risultato del regista inglese.Musiche a cura di Ernest Irving dal Don Giovanni di Mozart.Segnaliamo infine la differenza del cognome dalla lingua originale, ossia Mazzini, con quello scelto per il doppiaggio italiano e cioè Martinez. Questo fa pensare che forse ai nostri distributori non è piaciuto che questo elegante assassino avesse origini nostrane, pensando bene di cambiarle scegliendo quelle dei nostri vicini spagnoli; forse al pubblico avrebbe dato fastidio di avere un assassino in casa?Non è un film che ebbe molto eco a livello internazionale e che tuttora resta alquanto anonimo, ma come al solito il successo non è mai proporzionale al valore, in quanto è più che meritiero di essere visto, anche più volte. Non a caso nel 1999 il British Film Institute l'ha inserito al sesto posto della lista dei migliori cento film britannici del XX secolo.


SCHEDA: Sangue blu
Titolo originale:
'Kind Hearts and Coronets'
Paese: UK
Anno: 1949

Durata 106'
Colore: B/N
Genere: Commedia - commedia nera
Regia: Robert Hamer

Sceneggiatura: John Dighton
Musiche: Ernest Irving
Montaggio: Peter Tanner

Fotografia: Dougla Slocombe

Cast:
-
Dennis Price (Louis)
-Valerie Hobson (Edith)

-Joan Greenwood (Sibella)

-Alec Guiness (The Duke/The Banker/The Parson/The General/The Admiral/Young Ascoyne/Young Henry/Lady Agatha)

-Audrey Fildes (Mama)


Recensione a cura di Mash

domenica 1 febbraio 2009

Wall-E - Non si ci ferma spesso a guardare i titoli di coda!



Chiunque guardi un film seduto al cinema o sul divano di casa allo scorrere dei titoli di coda, riconosciuta logicamente la fine del film, abbandona la propria postazione per ridare brio alle proprie intorpidite gambe; ma non sempre! Non è certo la prima volta che viene dedicata particolare attenzione alla presentazione di coloro che hanno lavorato al progetto ma nel caso di Wall-E non si ci può esimere dal guardarli e dall'ascoltarli. 5 minuti che felicemte passano sull’armonia della canzone del grande Peter Gabriel intitolata “Down to the Earth” e peraltro candidata all’Oscar. Continuando idealmente la vicenda dei profughi terrestri ormai ritornati a casa, aiutati dai loro amici tutti circuiti, i disegnatori e tecnici della Pixar hanno la possibilità di lietarci ulteriormente con immagini che ci fanno ripercorrere la storia dell’arte pittorica e figurativa umana; dalle incisioni e decorazioni rupestri all'alba dei tempi alla civiltà ellenistica, dal rinascimento sino ai giorni nostri passando per Vincent Van Gogh, Georges Seurat e Auguste Renoir. Nel miglior film d’animazione degli ultimi anni Wall-E non un solo minuto è stato sprecato, tutto tende a divertire, ad affascinare e perchè no anche a riflettere.
A cura di Mash84

giovedì 29 gennaio 2009

Alcuni film per non dimenticare la Shoah

5 film, ognuno unico a suo modo, su una delle più grandi tragedie del secolo scorso! Opere per non dimenticare e non solo. Film specchio della meschinità umana e al tempo stesso emozionanti inni alla vita.

PRIMO LEVI
"Tutti coloro che dimenticano il loro passato, sono condannati a riviverlo"

"Essi [gli altri prigionieri di Auschwitz] popolano la mia memoria della loro presenza senza volto e se potessi racchiudere in un'immagine tutto il male del nostro tempo, sceglierei questa immagine, che mi è familiare: un uomo scarno, dalla fronte china e dalle spalle curve, sul cui volto e nei cui occhi non si possa leggere traccia del pensiero."


Train de vie - di Radu Mihaileanu 1998

Schindler's List - di Steven Spielberg 1993

Il pianista - di Roman Polanski 2002

La vita è bella - di Roberto Benigni 1997

La strada di Levi - di Davide Ferrario 2005

venerdì 23 gennaio 2009

Divorzio all'italiana - un film di Pietro Germi


Trama
Agramonte*, Sicilia, il barone Ferdinando Cefalù (Marcello Mastroianni) sposato con l’asfissiante e brutta Rosalia (Daniela Rocca), s’innamora della bella e giovane Angela (Stefania Sandrelli), sua cugina. Non sapendo rinunciare al nuovo amore, grazie a qualche inattesa scoperta e ad un artificioso stratagemma, Fefè sembra realizzare il suo sogno.
* (nome d'invenzione, molte delle riprese sono realizzate a Ispica)

“Tutti i luoghi comuni ricorrenti quando si parla del nostro Paese, sono veri, purtroppo. Come in genere sono veri i luoghi comuni, che per vezzo intellettualistico ci si ostina a considerare falsi”. (Pietro Germi)

Con uno sguardo sarcastico e irriverente, il film racconta attraverso le magnifiche narrazioni in prima persona del protagonista, le amorose peripezie di un uomo “purtroppo” sposato. Una commedia che è diventata negli anni un affresco, non idilliaco ma certamente memorabile, sulla Sicilia e sui costumi dell’Italia degli anni 60.
Germi, ha qui la possibilità di smantellare e mettere a nudo la ferrea mentalità sicula, che presenta meccanismi e barriere culturali assolutamente invalicabili all’epoca, aggiunto ad un finto moralismo che ha nella “forma” il suo ostacolo maggiore, e Mastroianni è il mezzo attraverso cui ciò avviene. Labirinticamente il suo personaggio s’infila negli sporchi cunicoli che il contesto sociale permette ( il delitto d’onore), raggirando quella che semplicemente, ma impossibile ai tempi, poteva essere una richiesta di divorzio. Tullio Kezich lo definisce: “Un ritratto stilisticamente impeccabile, pieno di una cattiveria d’alta classe; un piccolo Monsieur Verdoux ripugnante e patetico, un topolino cieco nella giungla proibita del sesso”.
Angela, di cui Fefè s’innamora nel fatale condominio, incarna l’oggetto del desiderio (in quanto Fefè non la conosce veramente), il naturale movente della passione maschile; il possesso della sua fresca giovinezza e calda sensualità, idealizzano per l’uomo maturo, la possibilità di una nuova giovinezza.
La riuscitissima sceneggiatura, vincitrice dell’Oscar, è percorsa da una vena di humour nero e presenta uno stile grottesco che a detta dello stesso Germi, era l’unico possibile per raccontare questa storia “normale”. Diverte oggi e fu ugualmente apprezzato all’epoca (come spesso accade sappiamo ridere dei nostri difetti, ma cambiarli è un’altra cosa….).
Le atmosfere di quelle calde giornate d’estate, accompagnate dalle malinconiche musiche di Carlo Rustichelli, sono perfettamente rese da un regista esperto e meticoloso come Germi, un regista che curava maniacalmente ogni singola inquadratura sino alla perfezione, che amava parlare con gli sguardi e che per questo motivo s’interessava anche ai costumi e al trucco.
Superbo Mastroianni, si dice che volle fortemente la parte e abbia spedito foto sue con basettoni e baffi per convincere il regista. Lo stesso dice di essersi ispirato poi a Pietro Germi nel ricalcare quel famoso tic spesso ostentato nel film.
Ottimi senza distinzioni tutti gli attori secondari; alcuni sono straordinariamente realistici, come il padre interpretato da Odoardo Spadaro, altri sono perfettamente funzionali, come il futuro cognato, interpretato da Lando Buzzanca. Indimenticabili lo sono pure le orazioni difensive del barocco avvocato interpretato da Pietro Tordi.

Uno splendido capitolo della commedia all’italiana


SCHEDA:
Divorzio all'italiana
Paese: Italia
Anno: 1961
Durata 101'
Colore: B/N
Genere: Commedia
Regia: Pietro Germi
Sceneggiatura: Ennio De Concini, Pietro Germi e Alfredo Giannetti
Musiche: Carlo Rustichelli
Montaggio: Roberto Cinquini
Fotografia: Leonida Barboni e Carlo Di Palma
Scenografia: Carlo Egidi

Personaggi:

Marcello Mastroianni (Ferdinando Cefalú)

Daniela Rocca (Rosalia Cefalú)

Stefania Sandrelli (Angela)

Leopoldo Trieste (Carmelo Patané)

Odoardo Spadaro (Don Gaetano Cefalú)

Margherita Girelli (Sisina)

Angela Cardile (Agnese)

Lando Buzzanca (Rosario Mulè)

Pietro Tordi (L'avvocato De Marzi)

Ugo Torrente (Don Calogero)

Recensione a cura di Mash84

domenica 11 gennaio 2009

I miglior film del 2008

Scelti da noi:
1- Non è un paese per vecchi (J.&E.Coen)

2- Gomorra (M.Garrone)

3- Wall E (A.Stanton)4- Il petroliere (P.T. Anderson)
5- Shine a light (M.Scorsese)
6- Into the Wild (S.Penn)
7- Funny Games (M.Haneke)
8- Il divo (P.Sorrentino)
9- Onora il padre e la madre (S.Lumet)
10- E venne il giorno (M.Night Shyamalan)

Scelti da voi:
1- Non è un paese per vecchi (J.&E.Coen)
2-3 ex equo:
- Into the Wild (S.Penn)
- Gomorra (M.Garrone)
4- Il divo (P.Sorrentino)
5- Wall E (A.Stanton)
6- Il cavaliere oscuro (C.Nolan)
7-8-9-10 ex equo:
- Il petroliere (P.T. Anderson)
- Persepolis (M.Satrapi)
- Shine a light (M.Scorsese)
- Harry Potter e il principe mezzosangue (D.Yates)

giovedì 4 dicembre 2008

Classifica delle migliori pellicole sulla guerra

Apocalypse Now – “La follia”

Il capolavoro. Uscito nel 1979 e in seguito affiancato da una seconda versione (con scene inedite e un differente audio) con il nome “ Apocalypse Now Redux” (2001), stabilmente occupa le prime posizioni nelle classifiche delle migliori pellicole di sempre. Oltre che un mirabile film di guerra è anche un allucinato viaggio nel tortuoso fiume della psiche umana. Diretto magistralmente da Francis Ford Coppola, è ispirato al romanzo di Joseph Conrad “Cuore di tenebra”. La sua migliore arma è la forza delle immagini, da rimanere a bocca aperta.


" Il mio non è un film sul Vietnam.... il mio film è il Vietnam" F.F. Coppola

Colonel Kurtz: I remember when I was with Special Forces. Seems a thousand centuries ago. We went into a camp to inoculate the children. We left the camp after we had inoculated the children for Polio, and this old man came running after us and he was crying. He couldn't see. We went back there and they had come and hacked off every inoculated arm. There they were in a pile. A pile of little arms. And I remember... I... I... I cried. I wept like some grandmother. I wanted to tear my teeth out. I didn't know what I wanted to do. And I want to remember it. I never want to forget it. I never want to forget. And then I realized... like I was shot... like I was shot with a diamond... a diamond bullet right through my forehead. And I thought: My God... the genius of that. The genius. The will to do that. Perfect, genuine, complete, crystalline, pure. And then I realized they were stronger than we. Because they could stand that these were not monsters. These were men... trained cadres. These men who fought with their hearts, who had families, who had children, who were filled with love... but they had the strength... the strength... to do that. If I had ten divisions of those men our troubles here would be over very quickly. You have to have men who are moral... and at the same time who are able to utilize their primordial instincts to kill without feeling... without passion... without judgment... without judgment. Because it's judgment that defeats us.


Full Metal Jacket –
“L’addestramento”

E’ un film del maestro Stanley Kubrick, già ciò è sinonimo d’eccellenza nell’ambito tecnico, ma con gli anni è anche diventato a livello tematico un mito per numerosi giovani di tutto il mondo. Scaglia un durissimo colpo all’esercito e alla guerra. Sceneggiato dal romanzo di Gustav Hasford “The Short Timers”. Anno 1987.

Sergeant Hartman to the graduating recruits : Today, you people are no longer maggots. Today, you are Marines. You're part of a brotherhood. From now on until the day you die, wherever you are, every Marine is your brother. Most of you will go to Vietnam. Some of you will not come back. But always remember this: Marines die. That's what were here for. But the Marine Corp lives forever. And that means YOU live forever.


La Sottile Linea Rossa ( The Thin Red Line ) - "L’affresco corale"
E’ il miglior film degli ultimi dieci anni. Forse nella pellicola la guerra è solo un incipit o meglio il pretesto che porta il regista e sceneggiatore americano Terrence Malick a porre numerose domande sulla natura umana e il suo ruolo
nel mondo. La vicenda dei soldati è ispirata al romanzo omonimo di James Jones.

Capt. James ‘Bugger’ Staros: I've lived with these men, sir, for two and a half years and I will not order them all to their deaths."


Orizzonti Di Gloria ( Paths of Glory) - "La scacchiera del comando”
Paths of Glory può, non a sproposito, simboleggiare quello che sciaguratamente, ma necessariamente è diventato un vero movimento cinematografico, mi riferisco al cinema antimilitarista. Oltre che alle indissolubili atrocità legate alla guerra, analizza in maniera efficace i contrasti ideologici in due distinte classi di comando nell’esercito. Col semplice ma splendido finale è il più commovente della classifica. Diretto nel 1957 da
Stanley Kubrick e tratto dal romanzo omonimo di Humphrey Cobb.

General Broulard: Colonel Dax! You will apologize at once or I shall have you placed under arrest!
Colonel Dax: I apologize... for not being entirely honest with you. I apologize for not revealing my true feelings. I apologize, sir, for not telling you sooner that you're a degenerate, sadistic old man. And you can go to hell before I apologize to you now or ever again!


Il Grande Uno Rosso ( The Big Red One)- "La sopravvivenza”

Fuller lo ha detto spesso: la vera gloria della guerra è sopravvivere. E’ un film del 1980 scritto, quasi come un’autobiografia, e diretto dallo specialista nel genere Samuel Fuller, decorato reduce della seconda guerra mondiale. Non a caso il film può ritenersi un’antologia di guerra ma anche di cinema.

Griff: I can't murder anybody.
The Sergeant: We don't murder; we kill.
Griff: It's the same thing.
The Sergeant: The hell it is, Griff.
You don't murder animals; you kill 'em.



Il Ponte Sul Fiume Kwai ( The Bridge on the River Kwai )- "La prigionia"
Un colosso. Con 7 Oscar è Il più premiato film di guerra della storia dall’Academy, generalmente restìa verso altri meritevoli film. Tiene alta la bandiera della dignità dell’uomo. Tratto dal romanzo di Pierre Boulle e diretto da David Lean. Anno 1957


Colonel Nicholson: One day the war will be over. And I hope that the people that use this bridge in years to come will remember how it was built and who built it. Not a gang of slaves, but soldiers, British soldiers, Clipton, even in captivity.



La Grande Guerra - "Gli anti-eroi"
L’unico film nostrano della classifica visto che nel genere difficilmente l’Italia è riuscita a competere (per i mezzi finanziari principalmente?) col cinema internazionale, americano in primis. In bilico tra dramma e commedia, narra, in maniera tutta italiana, lo stesso orrore delle altre pellicole, ma naturalmente è il più vicino, in molti sensi, a noi. Ispirato al racconto ‘Due Amici’ di Guy de Maupassant e diretto da Mario Monicelli nel 1959.


Vittorio Gassman ai suoi commilitoni: Com’è che dice il proverbio, eh? Se non capisci niente, o fai l’avvocato o fai il sergente.


Flags of Our Fathers - "I simboli"

Lettere da Iwo Jima ( Letters from Iwo Jima ) - "Lettere dal fronte”

Un ex equo obbligato. Due facce di una stessa medaglia, viene da dire e in un senso lo sono.

E’ la prima volta che un regista decide di raccontare, in due pellicole differenti, una ‘guerra’ e una ‘battaglia’ dalle opposte fazioni. Evidenzio questa dicitura in quanto è in ciò che maggiormente si differenziano i due lavori. Flags, imperniato sull’ottica degli americani, è più elaborato sulla guerra in senso ampio, sulle sue mosse sociali-politiche (se così si possono definire) e sulle sue forze “trainanti”. Nel versante nipponico di Letters invece, si focalizza l’obiettivo sul confronto a livello intimo con la battaglia, sugli aspetti meramente umani. Sceneggiati rispettivamente dal libro omonimo di James Bradley e da lettere di soldati giapponesi alcune raccolte nel libro di Tadamichi Kuribayashi, Picture Letters from Commander in Chief. Regia di Clint Eastwood 2006

James Bradley: I finally came to the conclusion that he maybe he was right. Maybe there's no such thing as heroes. Maybe there are just people like my dad. I finally came to understand why they were so uncomfortable being called heroes. Heroes are something we create, something we need. It's a way for us to understand what's almost incomprehensible, how people could sacrifice so much for us, but for my dad and these men, the risks they took, the wounds they suffered, they did that for their buddies. They may have fought for their country but they died for their friends. For the man in front, for the man beside him, and if we wish to truly honor these men we should remember them the way they really were, the way my dad remembered them.

(A letter to Saigo's wife) We soldiers dig. We dig all day. This is the hole that we will fight and die in.
Am I digging my own grave?


L'urlo della Battaglia ( Merrill’s Marauders ) - "L’eroismo bellico"
Una brigata di soldati volontari affronta una lunghissima e insidiosa marcia nella giungla per portare a termine la loro fondamentale missione. Questo film a tratti grandioso è stato scritto e diretto da Samuel Fuller nel 1948.



10° Obiettivo Burma ( Objective Burma!) - "Il manuale di guerra"

Non esiste, forse, un film così dettagliato e completo sulle metodiche in guerra.Viaggia su alti ritmi concentrato sul raggiungimento dell’obiettivo, il resto non è argomento del film. Raul Walsh è il regista di questa pellicola del 1945 , certamente tra le sue più riuscite.


Recensione a cura di Mash

domenica 30 novembre 2008

Non è un paese per vecchi


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A far da motore all’azione vi è una valigetta contenente due milioni di dollari, ritrovata da Moss (J. Brolin) nel bel mezzo di una tipica zona desertica del Texas. Il bottino è l’unico sopravvissuto ad una strage tra bande di criminali messicani; Moss pensa di tenere il denaro, ma dietro l’angolo vi è un glaciale assassino a pagamento che ha il compito di recuperarlo.

Per il loro 12° film i Coen scelgono di raccontare una storia che rappresenta il compendio della loro intera opera cinematografica.

In questa laconica eppur poliedrica “sentenza”, illuminata dalla splendida fotografia di Roger Deakins, si percepisce un’acuta analisi di carattere del mondo passato e odierno, scaturita da una volontà che rimane congelata anche nei momenti più assurdi.

L’ibrida natura di questa tragica odissea nei meandri della malvagità umana è l’essenza stessa dell’opera cinematografica dei Coen, caratterizzata dall’imprevedibile mescolanza dei generi.

Attraverso le disavventure del protagonista(?) e del suo implacabile, folle inseguitore, vengono poste molte domande, alle quali difficilmente si può trovare una risposta.

Il Paese a cui allude il titolo è il Texas, perfetto sfondo per un’esistenza angosciante, avida e perfino immune, spavalda di fronte al giudizio degli uomini.

In questa “apocalisse”, sarebbe difficile stabilire quanto la lente deformante del grottesco alteri la vicenda, che pur tra passaggi di azione iperbolica riesce ad apparire secca, fulminea,realistica. Anche nelle più crude scene di violenza infatti, non c’è compiacimento.

Caratterizzato da un ritmo svelto, spiccio nel mostrare gli eventi, il racconto può risultare a tratti spiazzante, soprattutto a causa del funzionale utilizzo di un tono freddo e distaccato che permette sì allo spettatore di entrare in simbiosi con il film, ma anche di rimanerne al di fuori. La perfetta miscela di suspense, azione, mistero, humour nero, contribuiscono non poco alla riuscita caratterizzazione di un mondo violento, freddo e insensato nella sua follia estrema, turgida e maledetta.

Tutto, o quasi, nel film è accennato, suggerito; Il principale obiettivo dei Coen è, infatti, mostrare, esentandosi da qualsiasi giudizio critico o morale. Anche nell’approfondimento psicologico dei personaggi vi è una voluta insoddisfazione cognitiva che lascia libero lo spettatore di credere o di immaginare, di supporre o di rifiutare.

Nel contesto di un universo spaesato, senza guida e alla deriva, il personaggio di Tommy Lee Jones, in cui s’imprime la metafora del film, vive un incubo ad occhi aperti. Più che un film sulla violenza, è un film sulla normalità della violenza, in un Paese in cui neanche più la normalità ha un’identità precisa.

Recensione a cura di: Danilo Cristaldi

giovedì 27 novembre 2008

The Departed un film di Martin Scorsese


Indissolubilmente legato ad una propria idea di cinema, Scorsese arriva al suo 23° lungometraggio rimanendo coerente a sé stesso.
Attraverso una sceneggiatura che potrebbe far invidia persino a Raymond Chandler (Il grande sonno), tratta dal film giapponese “Infernail Affairs”, il film assume tuttavia un’identità narrativa semplice, lineare, scorrevole.
La storia di Sullivan (Matt Damon), infiltrato della mafia nella polizia di Stato, e quella di William Costigan (L. Di Caprio), poliziotto con la missione di intrufolarsi nella banda criminale di Frank Costello (Jack Nicholson), risulta indispensabile a Scorsese per potersi addentrare in quel complesso groviglio di significati che il sottotitolo italiano lascia intravedere.
A differenza degli altri suoi film ambientati nel mondo della malavita, legati ad una scelta stilistico-narrativa esemplare nel cercare di trasformare la descrizione in una vera e propria chiave di lettura del film, l’ultima pellicola del regista americano ha un punto di forza: una dimensione etica. Nel suo travagliato “vagabondaggio” morale W. Costigan si trova davanti ad un bivio: poliziotto o criminale? La risposta sta in una frase pronunciata da Costello nell’abbagliante e trascinante prologo del film: “Quando hai davanti una pistola carica, qual è la differenza?
Attraverso un’impietosa analisi della (a)moralità umana, Scorsese punta i riflettori sulla poetica dei contrasti e degli scambi, in cui l’unico punto fisso è l’assenza del bene.
Collocandosi all’interno del genere poliziesco, è qualcosa di più: è una sfilata di personaggi travolti dalla virulenza del male. In un universo comandato da Costello, quasi tutti soccombono alla perfida realtà della vita; qualsiasi strada ognuno scelga è sbagliata.
Velato da un atroce e turbante pessimismo, ha una carta vincente: la messa in scena. La sceneggiatura è superbamente organizzata, ma le sue maggiori qualità sono altre: magistrale direzione degli interpreti, atmosfera e una secca e concisa lucidità di sguardo. E’ il raro caso di un film d’autore perfettamente allineato con la migliore tradizione del cinema hollywoodiano. Scorsese è sì un narratore di razza, ma contemporaneamente anche un energico visionario della realtà.
Dramma gangsteristico o tragedia morale? Forse tutti e due.
Tra momenti di lucido realismo alternati a passaggi di forte tensione lirica, si arriva ad un finale pessimistico ma giusto. Anche se la “giustizia non è di questo mondo”, “The departed” ne ha una tutta per sé.
Attraverso una tipica recitazione da Actor’s Studio, L. Di Caprio offre una performance così ricca di sfumature recitative e psicologiche da tenere testa persino all’intramontabile Nicholson. Da notare soprattutto il fascino figurativo della pellicola, dovuto in gran parte a due abituali e fedeli collaboratori di Scorsese: la fotografia di Michael Ballhaus e il montaggio della veterana e pluripremiata Thelma Schoonmaker.
Vi è anche, sottotraccia, uno spirito ribelle che affronta e critica la morale della religione
cattolica, o meglio, della Chiesa. E’, in questo senso, il film più caustico di Scorsese.

Recensione a cura di: Danilo Cristaldi