domenica 30 novembre 2008

Non è un paese per vecchi


>

A far da motore all’azione vi è una valigetta contenente due milioni di dollari, ritrovata da Moss (J. Brolin) nel bel mezzo di una tipica zona desertica del Texas. Il bottino è l’unico sopravvissuto ad una strage tra bande di criminali messicani; Moss pensa di tenere il denaro, ma dietro l’angolo vi è un glaciale assassino a pagamento che ha il compito di recuperarlo.

Per il loro 12° film i Coen scelgono di raccontare una storia che rappresenta il compendio della loro intera opera cinematografica.

In questa laconica eppur poliedrica “sentenza”, illuminata dalla splendida fotografia di Roger Deakins, si percepisce un’acuta analisi di carattere del mondo passato e odierno, scaturita da una volontà che rimane congelata anche nei momenti più assurdi.

L’ibrida natura di questa tragica odissea nei meandri della malvagità umana è l’essenza stessa dell’opera cinematografica dei Coen, caratterizzata dall’imprevedibile mescolanza dei generi.

Attraverso le disavventure del protagonista(?) e del suo implacabile, folle inseguitore, vengono poste molte domande, alle quali difficilmente si può trovare una risposta.

Il Paese a cui allude il titolo è il Texas, perfetto sfondo per un’esistenza angosciante, avida e perfino immune, spavalda di fronte al giudizio degli uomini.

In questa “apocalisse”, sarebbe difficile stabilire quanto la lente deformante del grottesco alteri la vicenda, che pur tra passaggi di azione iperbolica riesce ad apparire secca, fulminea,realistica. Anche nelle più crude scene di violenza infatti, non c’è compiacimento.

Caratterizzato da un ritmo svelto, spiccio nel mostrare gli eventi, il racconto può risultare a tratti spiazzante, soprattutto a causa del funzionale utilizzo di un tono freddo e distaccato che permette sì allo spettatore di entrare in simbiosi con il film, ma anche di rimanerne al di fuori. La perfetta miscela di suspense, azione, mistero, humour nero, contribuiscono non poco alla riuscita caratterizzazione di un mondo violento, freddo e insensato nella sua follia estrema, turgida e maledetta.

Tutto, o quasi, nel film è accennato, suggerito; Il principale obiettivo dei Coen è, infatti, mostrare, esentandosi da qualsiasi giudizio critico o morale. Anche nell’approfondimento psicologico dei personaggi vi è una voluta insoddisfazione cognitiva che lascia libero lo spettatore di credere o di immaginare, di supporre o di rifiutare.

Nel contesto di un universo spaesato, senza guida e alla deriva, il personaggio di Tommy Lee Jones, in cui s’imprime la metafora del film, vive un incubo ad occhi aperti. Più che un film sulla violenza, è un film sulla normalità della violenza, in un Paese in cui neanche più la normalità ha un’identità precisa.

Recensione a cura di: Danilo Cristaldi

3 commenti:

Luciano ha detto...

La tua recensione rispecchia anche il mio punto di vista. Uno dei migliori film dell'anno.

Anonimo ha detto...

Sicuramente uno dei migliori. ciao e grazie

Anonimo ha detto...

la cosa terribile è l'impossibilità di fermare Javier Bardem, altro che Godzilla.